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L’insorgenza di Lugo di Romagna del 1796


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Lugo di Romagna XV secolodi Renato Cirelli (15 settembre 2017 – in alleanzacattolica.org “Dizionario del Pensiero Forte)

La rivolta di Lugo di Romagna si situa nel quadro dell’insorgenza delle popolazioni italiane contro l’invasione francese del 1796 e contro i giacobini italiani che la sostengono. Essa assume una importanza rilevante innanzitutto perché appartiene al momento iniziale dell’insorgenza e quindi per la ferocia della repressione che ne segue e che avrebbe contraddistinto tutto il periodo della dominazione franco-giacobina in Italia.

La Bassa Romagna di cui faceva parte Lugo insieme a Bagnacavallo, Cotignola, Massalombarda, Conselice e Fusignano, oggi appartenente alla provincia di Ravenna, alla fine del secolo XVIII faceva parte della Legazione pontificia di Ferrara, come già prima del Ducato Estense. Gli Estensi avevano rispettato gli antichi statuti lughesi e sotto il governo della Santa Sede Lugo acquista una prosperità economica che ne fa un importante centro agricolo e commerciale che, alla vigilia dell’invasione francese, conta ottomila abitanti che aumentano a sedicimila con il contado, compresi quattrocento ebrei che, malgrado le restrizioni imposte dal Ghetto secondo le consuetudini e le leggi del tempo, godono degli stessi privilegi concessi ai cristiani da Papa Clemente VIII (1535-1605). Aggregata storicamente a Ferrara, Lugo aspira a essere una piccola capitale autonoma, libera dalle ingerenze, soprattutto fiscali, di Ferrara e in questo senso in più occasioni, fa appello direttamente al Papa che spesso le è favorevole per premiarla della sua costante fedeltà alla Santa Sede. In virtù della Bolla pontificia detta “del Buon Governo” del 1601 l’Amministrazione comunale di Lugo, come quella di altre città della Romagna, era retta da una piccola oligarchia di famiglie nobili o benestanti i cui rappresentanti, nominati dal Papa, formavano il Consiglio della città. Esso esercitava la propria sovranità nell’ambito delle competenze locali sulle quali godeva di una assoluta autonomia. Alla vigilia della Rivoluzione Francese Lugo era una cittadina prospera, sede di un’importante Fiera, ricca di chiese, di conventi, di numerose confraternite e opere pie che assolvevano l’incarico dell’assistenza dei poveri e dei bisognosi. Possedeva un teatro, biblioteche, un ospedale, un Monte di Pietà, scuole pubbliche e private e il collegio Tirsi dove si insegnavano a livello universitario Grammatica, Teologia, Filosofia, Diritto, Matematica e Scienze. L’ordine pubblico era garantito da cinque “birri” in città e otto nel contado e in caso di necessità poteva essere mobilitata una milizia territoriale formata dagli stessi abitanti.

Lo scoppio della Rivoluzione e le notizie degli sconvolgimenti e delle violenze che arrivano dalla Francia portano turbative e apprensione anche negli Stati Pontifici e quindi a Lugo, poiché tutti capiscono, specie dopo l’assassinio di Re Luigi XVI (1754-1793) che la Rivoluzione minaccia direttamente la religione e il Papa. Anche a Lugo arrivano emigrati francesi, specialmente ecclesiastici, in cerca di rifugio e il 31 gennaio 1793, in seguito alle minacce ricevute dopo l’uccisione a Roma da parte del popolo del rappresentante francese Ugo Basseville, Pio VI (Angelo Braschi, 1717-1799) emana una “Notificazione” con la quale fa appello ai suoi fedeli sudditi, in caso di invasione francese, di prendere le armi per combattere in difesa della Patria, del Sovrano e della Religione. Nella primavera del 1796, dopo la conquista di Milano, Napoleone Bonaparte (1769-1821) ordina l’invasione delle Legazioni dello Stato Pontificio violandone la neutralità. In seguito a ciò Bologna, Ferrara e Ravenna vengono occupate, senza incontrare resistenza, dai francesi che vi istallano giunte giacobine e costringono la Santa Sede a firmare il 23 giugno un armistizio umiliante e disastroso.

Il contegno degli invasori, caratterizzato da soprusi, ruberie e oltraggi alla religione, eccita fin da subito gli animi delle popolazioni romagnole e tumulti scoppiano a Ravenna, Alfonsine e Cesena, sedati anche per l’intervento moderatore dell’autorità ecclesiastica. In contrasto con l’appello del Papa di tre anni prima, su consiglio di Roma i Legati pontifici emettono bandi per ordinare alle popolazioni di non opporsi ai francesi, ma questo invito non viene capito e non serve a calmare gli animi. Intanto la municipalità giacobina di Ferrara emana un editto che impone a Lugo di contribuire alla tassazione imposta alla provincia dai francesi con ottocentomila scudi, da versare anche con la confisca di tutti gli ori e gli argenti sia privati che appartenenti alle chiese, ai conventi e alle confraternite. Questa imposizione, richiesta con arroganza dai magistrati ferraresi, per di più giacobini, aggiunge sordo rancore all’odio contro l’invasore e l’indignazione raggiunge il culmine quando si apprende che all’ingordigia giacobina deve essere sacrificata anche la statua di Sant’Ilario (476-559), patrono di Lugo e considerata il palladio della patria. Quando il 30 giugno due commissari ferraresi arrivano a Lugo per effettuare le requisizioni, una ventina di lughesi guidati dal fabbro Francesco Mongardini, veterano dell’esercito pontificio, occupano il collegio Tirsi e impongono al governatore la consegna del busto del Patrono, quindi, mentre i pochi giacobini presenti in città e i rappresentanti ferraresi fuggono, i rivoltosi prendono possesso della città. Il 1° luglio viene instaurata una municipalità fedele al Papa presieduta dal conte Simone Antonio Montanari e si decide di inquadrare militarmente gli insorti al comando di Giovan Battista Manzoni, esponente di una nota e antica famiglia lughese. Un altro rappresentante della famiglia Manzoni viene inviato a Roma per informare il Papa dell’accaduto e riceverne la benedizione. Ma l’accoglienza è molto fredda e il Segretario di Stato Cardinale Zelada, preoccupato delle conseguenze e delle reazioni francesi, biasima “…la temeraria impresa”. Il Cardinale di Imola Barnaba Chiaramonti (1740-1823), futuro Papa Pio VII, da parte sua esorta i lughesi a deporre le armi e a riconoscere l’autorità dei francesi, per scongiurare altre violenze. Ma il popolo non accetta l’esortazione e decide di organizzare la resistenza. Il 4 luglio una colonna di sessanta francesi cade in una imboscata di duecento lughesi guidati dal Mongardini ed è costretta a ritirarsi lasciando sul campo molti morti e feriti. Continuano nel frattempo le trattative tra i lughesi e i francesi tramite la mediazione del rappresentante di Spagna, ma le proposte di pace, lette ad alta voce in piazza a popolo riunito, per quanto accattivanti, non vengono accolte, anche perché si viene a sapere che un’altra forte colonna francese avanza verso Lugo da Argenta. Il 7 luglio, sul fiume Santerno, un migliaio di insorgenti si scontra con i francesi, impedisce loro di passare il fiume e li sconfigge mettendoli in fuga. I francesi lamentano duecento tra morti e feriti contro le trenta perdite dei lughesi. Il borioso e invincibile esercito repubblicano era stato umiliato in campo aperto. Ma il giorno dopo un’altra colonna arriva da Imola e a Villa S. Martino si accende un altro duro scontro dove, però, gli insorgenti hanno la peggio e vengono debellati, anche moralmente, perché si perdono d’animo di fronte al rombo dei cannoni che non avevano mai udito. Arrivati a ridosso di Lugo i francesi iniziano il bombardamento della città, mentre le campane suonano a martello e gli insorgenti continuano a sparare sui soldati dai tetti e dalle finestre delle case. A mezzogiorno è tutto finito e mentre chi può fugge nelle campagne circostanti, l’esercito francese, padrone del campo, si abbandona al saccheggio della città compiendo crudeltà ed efferatezze, profanando le chiese, spogliando case ed edifici pubblici e non risparmiando neppure il Ghetto, benché gli ebrei non avessero partecipato alla rivolta. La mattina dell’8 luglio i francesi abbandonano Lugo trascinandosi dietro una ventina di carri pieni del frutto delle ruberie e 23 ostaggi e lasciandosi alle spalle una città in rovina e i cadaveri di 60 lughesi. Agli invasori la presa di Lugo è costata un centinaio di morti e un gran numero di feriti. Da tribunali militari improvvisati 18 popolani vengono condannati a pene detentive, mentre due, Gioacchino Palma e Filippo Randi, vengono fucilati a Ferrara, rei dell’uccisione di due ufficiali francesi.

Simile nelle sue caratteristiche e motivazioni alle altre insorgenze del periodo, quella di Lugo riveste alcune proprie peculiarità. Nell’insorgenza romagnola, infatti, è coinvolta l’intera comunità compreso il ceto nobiliare e buona parte del basso clero che dà vita a una spontanea contro-rivoluzione di massa “pro aris et focis” che trova come guida l’“élite” naturale della città. Una coralità che trova riscontro anche nell’assenza di atti cruenti o violenti contro i giacobini locali, a dimostrazione di quanto fosse insignificante la loro presenza. Altro aspetto che denota la non episodicità della rivolta, il fatto che molti insorgenti lughesi nei mesi successivi alla repressione tenteranno di sollevare le popolazioni contadine delle Legazioni, accorreranno volontari nell’esercito pontificio e saranno presenti sul fiume Serio, presso Faenza, nel febbraio 1797, nella battaglia, benché di poco rilievo, che sarà l’unica combattuta contro i francesi da uno Stato italiano, eccezion fatta per la monarchia sabauda. L’insorgenza lughese non si esaurisce nel 1796, nel 1797 alla notizia dell’avvicinarsi degli austriaci a Ferrara, vengono rialzate le insegne pontificie al grido di “morte ai giacobini”. Ancora a novembre vi è un altro tentativo di sommossa e quando nel 1799, in concomitanza con l’avanzata austro-russa, scoppia la grande Insorgenza in tutta Italia, Matteo Manzoni, alla testa di uno stuolo di rivoltosi entra a Lugo liberandola la mattina del 17 maggio. In mezzo allo sbigottimento generale provocato dall’invasione francese, i lughesi osarono ribellarsi e secondo le prescrizioni dell’editto pontificio combatterono per la patria e la religione. Abbandonati a loro stessi soccombettero non prima di aver provocato timore e rispetto al forte esercito napoleonico. Non domi continuarono a serbare odio per gli invasori fino al crollo di Napoleone nel 1815, dimostrando col sacrificio anche cruento di meritare i privilegi che avevano ottenuto in tempo di pace come città fedelissima alla Santa Sede.


Per approfondire: Alfonso Lazzari, “La sommossa e il sacco di Lugo nel 1796”, prefazione di Francesco Mario Agnoli, premessa alla terza edizione di Oscar Sanguinetti, Fondazione Cassa di Risparmio e Banco del Monte di Lugo, Ed. Faenza 1996; Giacomo Lumbroso, “I moti popolari contro i francesi alla fine del secolo XVIII (1796-1800)”, premessa alla seconda edizione di Oscar Sanguinetti, Maurizio Minichella Editore, Milano 1997; Carlo Zaghi, “L’Italia giacobina”, Utet Libreria, Torino 1989; Francesco Mario Agnoli, “Ravenna e il sacco di Lugo di Romagna”, in AA. VV., “Le insorgenze antifrancesi in Italia nel Triennio Giacobino (1796-1819)”, APES, Roma 1992, pagg. 175-202.