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da “La storia proibita – Quando i Piemontesi invasero il Sud”, AA.VV.,
Controcorrente, Napoli, 2001
I giacobini si ritennero patrioti e sostennero che la rivoluzione era a favore del popolo, per risollevarlo dalla miserrima condizione, intanto però, ne fomentavano la strage, ritenendo quindi che la felicità vada imposta dalle menti elette anche a prezzo di un bagno di sangue.
Qualche esempio di stragi di civili:
- 1300 persone furono uccise a Isola Liri e dintorni;
- Itri e Castelforte furono devastate;
- 1200 persone uccise a Minturno in gennaio, più altre 800 in aprile;
- gli abitanti della cittadina di Castellonorato furono tutti massacrati;
- persone passate a fil di spada:
- 1500 nella sola Isernia;
- 700 nella zona di Rieti;
- 700 a Guardiagrele;
- 4000 ad Andria;
- 2000 a Trani;
- 3000 a San Severo;
- 800 a Carbonara;
- tutta la popolazione a Coglie.
In un dispaccio del 21 gennaio 1799 dai giacobini napoletani allo Championnet, al fine di invitarlo ad affrettarsi a marciare su Napoli per la loro salvezza, troviamo scritto:
“NON LA NAZIONE
MA IL POPOLO E’ IL NEMICO DEI FRANCESI”.
Questa affermazione, scritta dai filofrancesi durante i giorni della rivolta dei lazzari, con l’evidente paura di fare una brutta fine, dimostra che le poche decine di giacobini della “Repubblica Napoletana” ben capivano che solo l’arrivo immediato delle truppe d’invasione francesi poteva salvarli dalla furia popolare.
Scrive Massimo Viglione: “Ma, proprio scrivendo quelle parole, essi dimostravano, a se stessi ed alla storia, il loro totale isolamento da tutto il resto del popolo. Il fare una distinzione fra la categoria di “Nazione” e quella di “Popolo”, attribuendo la prima a se stessi, cioè poche decine di giacobini, e la seconda, con valenza dispregiativa, a milioni e milioni di individui di tutte le classi sociali, dall’ultimo dei contadini al Re, risulta essere una testimonianza inequivocabile non solo dell’isolamento, ma anche della loro utopia, e dimostra anche tutto il loro reale disprezzo per il popolo, atteggiamento tipico di ogni casta intellettuale di ogni tempo e luogo”.
La parte continentale del Regno subì una spietata occupazione francese; i giacobini napoletani istituirono un governo fantoccio denominato “Repubblica Partenopea” che non fu riconosciuto neanche dalla Francia.
Tutti i beni, compresi gli scavi di Pompei, furono dichiarati proprietà dello straniero che pretese anche forti indennità di guerra.
Un cardinale della Chiesa, il principe Fabrizio Ruffo, di sua spontanea iniziativa chiese a Ferdinando uomini e mezzi per liberare il Regno.
Ottenne, così, il titolo di Vicario plenipotenziario del Re, una nave e sette uomini.
Ruffo mosse inizialmente con altri sette uomini contro l’esercito francese e liberò il Regno dagli eserciti napolconici invasori.
Non ha ricevuto dagli storiografi alcun riconoscimento per la sua azione, né il suo nome appare nella toponomastica delle città o sulla fiancata di un incrociatore.
Eppure quella del Ruffo fu un’autentica guerra di liberazione: all’inizio dell’anno 1799 quasi tutta la penisola italiana era sotto la dominazione straniera; nel mese di ottobre non vi era più un soldato francese in Italia.
Scrive il Viglione: “La grande marcia di riconquista del Regno effettuata dal cardinale Ruffo va inquadrata nel contesto generale del vasto fenomeno dell’Insorgenza. Mentre il Ruffo risaliva il Regno con il suo esercito, 38.000 toscani liberavano il Granducato, decine di migliaia di italiani affossavano la Repubblica Cisalpina e riconquistavano il Piemonte al seguito degli eserciti austro-russi; tutti insieme, infine, marciarono su Roma nel mese di settembre, quasi in una gara a chi arrivava prima a mettere la bandiera su Castel Sant’Angelo: e la gara fu vinta, ancora una volta, dalle truppe del cardinale Ruffo, che per prime liberarono la capitale della Cristianità”.
Il popolo si schierò a difesa delle istituzioni e della fede cattolica, l’insorgenza popolare divampò in tutto il Regno, inarrestabile. “Probabilmente, chiunque altro avrebbe rinunciato alla folle idea gridando all’ignavia dei suoi Sovrani. Non il Ruffo, che veramente partì con quel che aveva, e sbarcò il 7 febbraio 1799 in Calabria nei pressi di Pizzo.
Quattro mesi dopo, l’esercito dei volontari della Santa Fede, o sanfedisti, era composto di decine di migliaia di persone, ed entrava in Napoli da trionfatore, restaurando la Monarchia borbonica.
Ruffo iniziò la riconquista della Calabria verso il mese di aprile, e in maggio mosse verso il Nord, passando attraverso Matera, quindi Altamura, per dirigere poi verso Manfredonia ed Ariano, ove giunse il 5 giugno, preparandosi a marciare sulla capitale.
Liberò Napoli il 13 giugno dopo una tragica battaglia che rivide i lazzari in azione al suo fianco.
Il 21 giugno 1799 i francesi e i collaborazionisti giacobini si arresero”.
Da buon cristiano concesse ai giacobini condizioni di resa più che caritatevoli, ma l’ammiraglio Nelson, giunto a Napoli il 24 giugno 1799, non riconobbe la capitolazione accordata dal cardinale Ruffo che fu messo a tacere.
Se non fosse stato per Nelson essi sarebbero potuti partire per la Francia, e sarebbero stati dimenticati; senza saperlo egli li trasformò in martiri. Le navi trasporto furono portate a tiro dei cannoni, i passeggeri erano come, topi in trappola e i più noti furono imprigionati nelle stive delle navi inglesi.
Racconta il Viglione: “Ruffo fece di tutto per salvare i giacobinii napoletani. Molti storici, nelle loro opere chiariscono senza ombra di dubbio come l’unico vero responsabile della condanna dei giacobini fu Orazio Nelson con l’avallo della Regina. E, in fondo, furono gli stessi democratici ad autocondannarsi.
Infatti, quando l’Armata giunse a circondare la capitale, il Ruffo in persona entrò in contatto con i comandi giacobini, e promise che avrebbe loro messo a disposizione navi regie per partire per la Francia.
I repubblicani ebbero anche da ridire, e pretesero dal Ruffo che desse pubblico ed ufficiale riconoscimento alla Repubblica Napoletana, altrimenti non avrebbero accettato l’offerta.
Il cardinale, con cristiana pazienza, andò anche oltre i suoi legittimi poteri di Vicario del Re e riconobbe a nome del Sovrano la Repubblica”.
E chiarisce subito: “E’ chiaro che fece ciò solo allo scopo di salvarli. I giacobini allora iniziarono ad imbarcarsi, ma nel frattempo giunse nel porto il Nelson con la sua flotta, e fece subito sapere che il patto era infame e che non ne avrebbe permesso l’esecuzione, anche a costo di decapitare il Ruffo!
Questi allora andò personalmente a protestare sulla nave dell’ammiraglio, ricordandogli che aveva dato la sua parola e che era il Vicario del Re.
Ma il Nelson, forte dell’appoggio della Regina, rispose insolentemente tramite la sua amante Lady Hamilton che non era dignitoso per un ammiraglio parlare troppo a lungo con un prete cattolico.
Il Ruffo, benché umiliato, non si diede per vinto, e provò nuovamente a convincere i giacobini a consegnarsi a lui, promettendo di farli fuggire via terra.
I repubblicani però preferirono consegnarsi al Nelson, reputando che era meglio fidarsi di un ammiraglio protestante piuttosto che di un prete cattolico.
Appena costoro si imbarcarono sulla nave, Nelson li fece arrestare tutti.”
La decapitazione di suo cugino Luigi XVI e di Maria Antonietta, le sofferenze e l’allontanamento da Napoli non predisponevano il Re alla clemenza verso i traditori, verso coloro che avevano appoggiato l’invasore straniero, in nome di una “civiltà” imposta con la violenza.
Fu istituita una Giunta di Stato che doveva giudicare i civili e una Giunta di generali per i militari.
Di 8000 prigionieri:
- 105 furono condannati a morte, di cui 6 graziati;
- 222 furono condannati all’ergastolo;
- 322 a pene minori;
- 288 a deportazione;
- 67 all’esilio;
- tutti gli altri furono liberati.
Durante i pochi mesi della repubblica
vennero condannati a morte e fucilati 1563 legittimisti