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di Salvatore Di Giacomo
I nostri antichi progenitori che scelsero – per godervi gli ozii, la tranquillità e i piaceri della vita – questi lidi incantati, li celebrarono nelle opere loro e li additarono come l’Olimpo terreno di ogni più saporosa loro gioia. Non v’è storico, non v’è poeta di quel tempo che non li abbia davvero magnificati, ora in pagine che ne illustrarono la feracità e il naturale ristoro che offrono, ora in distici espressivi e armoniosi, i quali ne descrivono ogni suggestiva bellezza.
E le tacite sponde di Cuma, l’addormentata riva di Miseno, la stessa Baia, i cui templi, i cui sontuosi palazzi, le cui ville aristocratiche seppellì il mare, or pare che aspettino ancora le ornate triremi de’ consoli, o quella numerosa flotta latina che tante volte gettò le ancore in que’ porti, mentre il cielo si tingeva di un tramonto d’oro e di viola.
Qui fu Cuma, la vantata città greca che si chiamò culla della civiltà mediterranea; qui Pozzuoli, che ne divenne il porto; qui Baia, la Montecarlo dell’antichità; qui Miseno, a cui si dice che Enea abbia voluto dare il nome d’un suo devoto trombettiere; qui una scuola per i soldati romani, che serba tuttora quel di Miliscola.
Qui Cicerone, in una delle sue ville, discorreva della debolezza de’ sensi col suo grande amico Lucullo; qui, da Pozzuoli, mosse Augusto per la guerra contro Sesto Pompeo; qui Caligola portò le sue ferocie e la sua lussuria; qui Nerone fece cavar grotte sudatorie e costruire terme eleganti; qui Pompeo, Cesare, Domiziano, Lucio Pisone e Catone Uticense possedettero ville cospique, e di esse ogni loro amico, e amico pur delle Muse, cantò le delizie e la pace.
I poeti del nostro tempo son qui venuti, in sentimentale pellegrinaggio, da ogni parte del mondo. E a’ dolci ricordi virgiliani, alle piccole e tenere descrizioni di Properzio, alle lodi di Orazio, agli incisivi commenti di Marziale hanno fatto seguito canti non meno alati: così gli stranieri hanno sognato questi divini Campi Flegrei quasi conoscendoli ne’ brani dei calda ammirazione che ad essi dedicarono Shelly e Waiblinger, Goethe e Lamartine.
E il passato e il presente dei Campi Flegrei, appunto in “Der Wandrer” del Goethe, hanno potuto apprendere da una immagine felice del creatore di Faust:
“Qui, da per tutto – egli osserva – la vita umana prolifica bizzarramente da’ luoghi ove ella dovrebbe sembrare finita. Quelle che a Baia, a Bacoli, a Pozzuoli, a Cuma e a Miseno furno tombe che raccolsero, co’ segni più malinconici della morte, le antiche ossa che speravano pace, ora son case; e in ognuna di quelle camerette – ove in tante nicchie erano i vasi funerarii – ora non è più il silenzio, non più sono ombre, ma è un allegro cinguettio di bimbi ed è la tenera voce di una madre. Così rampolla, qui, dalla Morte la vita …”.