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(giunto a Napoli il primo aprile 1812)
da “Graziella” (operetta romantica) edizione 1849
«Saziatomi infine di Roma, volli vedere Napoli, dove mi attiravano soprattutto la tomba di Virgilio e la culla del Tasso, perchè i paesi per me hanno sempre significato uomini; così Napoli è Virgilio e Tasso. Mi sembrava che, vissuti ieri, le loro ceneri fossero ancora tiepide: vedevo Posillipo e Sorrento, il Vesuvio e il mare traverso l’atmosfera dei loro genii teneri e armoniosi.»
alle soglie dell’estate, scrive:
«In quel periodo il golfo di Napoli è simile a una coppa color verde antico, che s’imbianca di schiuma, con le insenature e le coste ornate di festoni d’edera e di pampini, circondato com’è di colline, candide case, rocce ricoperte di viti rampicanti, che ne abbracciano il mare ancor più azzurro del cielo. In questa stagione i pescatori di Posillipo, che sospendono le loro capanne alle rocce e stendono le reti sulle spiaggette di sabbia fine, la notte si allontanano fiduciosi da terra per recarsi a pescare a due o tre leghe sul mare, fin sotto le scogliere di Capri, Procida, Ischia, e in mezzo al golfo di Gaeta. Alcuni portano con sè torce di resina e le accendono per ingannare il pesce che, intravedendo quel chiarore, lo scambia pel crepuscolo e sale alla superficie. Un bambino accovacciato a prua della barca inclina in silenzio la torcia sull’onda, mentre il pescatore scruta con lo sguardo nel profondo dell’acqua e si sforza di scorgere la preda e farla entrare nella rete. Sulla distesa marina si riflettono in lunghe scie serpeggianti i fuochi rossi come bocche di fornace insieme coi pallidi riflessi del disco lunare, e il moto del mare fa oscillare queste luci il cui scintillio si propaga di onda in onda, all’infinito.»
Riuscito ad imbarcarsi su di un caicco insieme con un pescatore ed un ragazzo, al cader della sera parte con loro per una gita di pesca notturna, che così descrive:
«La prima notte fu incantevole. Il mare era calmo come un lago incassato tra le montagne della Svizzera. A mano a mano che ci allontanavamo dalla riva, i riflessi serpeggianti delle luci che brillavano alle finestre dei palazzi e sulle vie di Napoli scomparivano alla vista sotto la scura linea dell’orizzonte. Unici a mostrarci la costa erano i fari che impallidivano davanti alla sottile lingua di fuoco svolgentesi dal cratere del Vesuvio…
Avevamo doppiato da tempo la punta di Posillipo, traver- sato il golfo di Pozzuoli, quello di Baia, e superato il canale del golfo di Gaeta, tra capo Miseno e l’isola di Procida. Eravamo in alto mare, e poichè il sonno ci vinceva, ci coricammo, sotto i banchi, accanto al fanciullo. Il pescatore distese su noi la pe- sante vela ripiegata in fondo alla barca e ci addormentanuno così, cullati dall’oscillazione insensibile di un mare che faceva appena inclinare l’albero. Quando ci svegliammo era giorno alto : Il sole sfavillava e marezzava il mare di nastri di fuoco e si rifletteva sulle case bianche di una costa sconosciuta. Una leg- gera brezza proveniente da terra faceva palpitare su noi la vela e ci spingeva d’insenatura in insenatura, di scoglio in scoglio. La dentellata costa a picco dell’incantevole isola d’Ischia, che più tardi avrei abitato a lungo e intensamente amato, m’appariva per la prima volta: sbocciata come da un sogno di poeta du- rante il sonno leggero d’una notte d’estate, sorgeva dal mare e si perdeva nell’azzurro del cielo, immersa nella luce».