Ξ Gennaro Agrillo » Viento ‘e mare » Se io fossi San Gennaro
di (e voce) Federico Salvatore
Se io fossi san Gennaro non sarei così leggero, con i miei napoletani io m’incazzerei davvero.
Come l’oste che fa i conti dopo tanto fallimento, senza troppi complimenti sarei cinico e violento.
Vorrei dire al costruttore del Centro Direzionale che ci può solo pisciare perchè ha fatto un orinale.
Grattacieli di dolore, un infarto nella storia, forse è solo un costruttore che ha perduto la memoria
Nei meandri dei quartieri di madonne e di sirene, paraboliche ed antenne sono aghi nelle vene.
E nei vicoli dei chiostri, di pastori e vecchi santi, le finestre anodizzate sono schiaffi ai monumenti.
E’ come sputare in faccia ai D’angiò agli Aragona, cancellare via le tracce di una Napoli padrona.
E’ lo sforzo di cagare dell’ignobile pappone sulle perle date ai porci da Don Carlo di Borbone.
E’ perciò che mi accaloro coi politici nascosti, perchè solamente loro sono i veri camorristi a cui Napoli da sempre ha pagato la tangente e qualcuno l’ha incassata con il sangue della gente.
E per certi culi grossi il traguardo è una poltrona e per noi poveri fessi basta solo un Maradona.
E il miracolo richiesto di quel sangue rosso chiaro, lo sa solo Gesù Cristo che quel sangue è sangue amaro.
Lo sa il Cristo ch’è velato di vergogna e di misteri, da quel nobile alchimista principe di Sansevero.
E con lui lo sa Virgilio, il sincero Sannazzaro, Giambattista della Porta, che il colpevole è il denaro.
E nessuno dice basta per il culto della festa e di Napoli che resta sotto gli occhi del turista.
Via i vecchi marciapiedi che hanno raccontato molto, pietre laviche e lastroni seppelliamoli d’asfalto…
… l’appalto …
Ma non posso più accettare l’etichetta provinciale e una Napoli che ruba in ogni telegiornale.
Di una Napoli che puzza di ragù, di malavita, di spaghetti, cocaina e di pizza margherita.
Di una Napoli abusiva, paradiso artificiale, con il sogno ricorrente di fuggire e di emigrare.
E di un popolo che a scuola ha trovato nuovi corsi e la cattedra che insegna qual è l’arte di arrangiarsi.
Io non posso più accettare l’etichetta di terrone e il proverbio che ogni figlio è nu bello scarrafone.
E mi rode che Forcella è la kasba del furbone che ti scambia con il pacco uno stereo col mattone.
Se io fossi San Gennaro giuro che vomiterei la mia rabbia dal Vesuvio, farei peggio di Pompei.
E poichè c’ho preso gusto con la scusa del santone io ritengo che sia giusto fare pure qualche nome:
Chiedere a Pino Daniele che fine ha fatto terra mia, siamo lazzari felici, quanno chiove, ‘a pecundria, Napule è ‘na carta sporca, Napule è mille paure, ma pe’ chiste viche nire so’ passate ‘sti ccriature;
Da Pontano a Paisiello, Giulio Cesare Cortese, da Basile a Totonno Petito fino a Benedetto Croce, da Di Giacomo a Viviani, poi Caruso, poi Parisi, da Toto’ ai De Filippo, fino a Massimo Troisi;
c’e’ passato Genovesi e Leopardi con orgoglio, la romantica Matilde e “Il Mattino” di Scarfoglio, Filangieri, Cardarelli, tutto l’oro di Marotta, c’è passata la Madonna che ora vedi a Piedigrotta;
un Luciano De Crescenzo, Bellavista di Milano, e Sofia che da Pozzuoli oggi parla americano; un Roberto De Simone che le ha preso pure il cuore; ora cerca di sfruttarala Federico Salvatore.
Ma non posso tollerare chi si arroga poi il diritto di cambiare e trasformare tutto ciò che è stato fatto; di chi vuol tagliar la corda con la vecchia tradizione; di chi ha messo nella merda la cultura e la canzone;
io non posso sopportare che un signore nato a Foggia porta Napoli nel mondo e la stampa lo incoraggia; e che il critico ha concesso al neomelodico l’evento di buttare in fondo al cesso Napoli del novecento.
Perchè ancora io ci credo e mi incazzo ve lo giuro che Posillipo e Toledo li divide un vecchio muro, come quello di Berlino che ci spacca in due metà, uno è figlio ‘e bucchino l’altro è figlio di papà.
Se io fossi San Gennaro giuro che mi vestirei Pulcinella Che Guevara e dal cielo scenderei per gridare alla mia gente tutto ciò che mi fa male e finire da innocente pure io a Poggioreale.
Perchè come Gennarino sono vecchio in fondo al cuore e il mio canto cittadino non farà certo rumore.
Io ho capito che la vita è solo un viaggio di ritorno, che domani è già finito e che ieri è un nuovo giorno.
Sembra un gioco di parole ma mi sento più sicuro coi progetti del passato e i ricordi del futuro.
E alla fine del mio viaggio chiedo a Napoli perdono se ho cercato con coraggio di restare come sono.