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Sanfedismo (1)


  Ξ Lazzaro Napoletano » 1799 » La santa Fede » Sanfedismo (1)  

In Enciclopedia Cattolica, 12 voll., Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, Città del Vaticano 1952-1954, vol. X (1953), pp. 1754-1755.
Estensore: RENZO UBERTO MONTINI, ordinario di storia nei licei.

E’ la riproposta dell’articolo «Sanfedismo», redatto per l’Enciclopedia Cattolica dallo storico romano Renzo Uberto Montini.  Sintetizza in breve spazio la corretta ermeneutica di un termine che, oggi come ieri, viene utilizzato in chiave spregiativa e minatoria. La storia del linguaggio, soprattutto quando ci si occupa di storia della Rivoluzione di matrice illuminista, è un tema – come dimostrano gli studi di Erasmo Leso (cfr. Lingua e Rivoluzione, Istituto Veneto di Lettere ed Arti, Venezia 1991) – quanto mai importante e imprescindibile per comprendere nella loro integrità tali fenomeni. 


L’invasione giacobina del 1796-98 fu ben lungi dal suscitare in Italia gli universali entusiasmi di cui favoleggia la storiografia liberale. 

Se la «libertà» recata sulla punta delle baionette francesi riuscì gradita a taluni ambienti borghesi, intinti di razionalismo e di volterianesimo, i ceti aristocratici e più ancora le masse popolari si levarono concordi a difesa dei «troni e degli altari» che la Rivoluzione d’oltralpe minacciava: di qui le sollevazioni piemontesi anche dopo che le autorità avevano ceduto e la famiglia reale era stata costretta a riparare in Sardegna; l’eroica resistenza dei Marcheschi delle valli bresciane (val Trompia e val Sabbia), fedeli alla Repubblica di San. Marco [marzo-aprile 1797]; il sanguinoso episodio delle Pasque Veronesi [17-25 aprile 1797]; le gesta degli Insorgenti della Toscana [aprile-settembre 1799], delle montagne di Tolfa [nei pressi di Roma; dicembre 1799], delle Marche [1797; 1799] – i quali accorsero con i loro capimassa sotto le bandiere del generale [Giuseppe] Lahoz [(1773-1799)] e ritolsero ai Francesi la piazzaforte di Ancona – e degli Abruzzi [dicembre 1798-maggio 1799]. Particolarmente imponente questa «reazione» – come fu chiamata – nel regno di Napoli, dove i Lazzari [i popolani napoletani, ndr] si fecero massacrare per le vie della capitale dai Francesi e dai loro sostenitori, pur dopo la fuga del re in Sicilia, e dove la breve vita della Repubblica partenopea fu costantemente posta in difficoltà dalla rivolta delle province, devote alla monarchia e alla religione. Furono questi ribelli del Mezzogiorno agli ordinamenti repubblicani a dirsi per primi «Sanfedisti», cioè combattenti della Santa Fede; e su loro massimamente contò il card. Fabrizio Ruffo [(1744-1827)] per rafforzare il proprio esercito, dall’estrema Calabria giunto vittorioso fin sotto le mura di Napoli; e fu appunto al Ruffo e ai suoi sanfedisti che il governo repubblicano si arrese, con l’onorevole capitolazione, malauguratamente infranta dal[l’ammiraglio inglese Horatio] Nelson [(1758-1805)]. 

I luttuosi avvenimenti che ne seguirono non sono imputabili, come ognuno sa, al cardinale ma si fecero ricadere a torto su di lui, mentre è unicamente da addebitargli, caso mai, lo scarso discernimento dimostrato nell’accogliere tra le proprie file intere bande di briganti desiderose di rifarsi una vita, i quali non mancarono di perpetrare crimini non meno lamentevoli di quelli commessi dai cosiddetti «liberatori». Occorre pertanto sceverare nettamente ben individuate responsabilità di singoli e di gruppi per restituire al sanfedismo originale ed autentico l’innegabile merito di avere rappresentato, nell’Italia meridionale, la spontanea resistenza di popolazioni profondamente cattoliche e devote alle autorità legittime contro gli abusi, le violenze e l’opera scristianizzatrice di un governo instaurato e sostenuto dallo straniero, in dispregio di tutte le tradizioni politiche e religiose locali: del che è testimone non sospetto Vincenzo Cuoco (cfr. Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 [a cura di Nino Cortese, Vallecchi, Firenze 1926], specie ai capitoli 16, 19 e 21). Con serena valutazione, W.[alter] Maturi [(1902-1961)] ha scritto che il sanfedismo costituisce una «Vandea italiana, su uno sfondo sociale più grandioso» (Enciclopedia Italiana, vol. XXX, p. 639) di quella francese, espressione di un patriottismo a carattere locale anziché nazionale, ma non per questo meno degno di ammirazione. Gli storici di parte liberale, interessati a porre in cattiva luce il sanfedismo, hanno esteso arbitrariamente il significato originario del termine, comprendendovi anche i posteriori seguaci del restaurato Borbone, moralmente corresponsabili della spietata reazione, e, in genere, tutti i fautori dell’assolutismo nel mezzogiorno della Penisola. Sanfedisti si dissero altresì, in epoca successiva, gli aderenti a talune società segrete – sulla cui attività si è d’altronde scarsamente informati -, che si costituirono nello Stato pontificio subito dopo il 1815 in opposizione alle sètte carbonare: ma la loro azione venne sconfessata dal governo per evidenti motivi di opportunità e giustizia.