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Virgilio Mago


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da “Virgilio Mago” in “Napoli esoterica”
di Mario Buonoconto

Il discorso sull'”esoterismo” a Napoli si fa molto interessante nel Medioevo normanno e angioino, quando si sviluppò – e vi trovò enorme credito – la teoria di “Virgilio Mago”. I rapporti del grande poeta latino con Neapolis sono moltissimi; la città che ancora ne onora la tomba nel parco di Piedigrotta che porta il suo nome, presenta due diverse direttrici “d’amore”: quella “colta” che riguarda la sua prestigiosa opera letteraria, e quella popolare che lo venera quale Mago-Salvatore della città stessa; il “Liberatore” da varie iatture come, ad esempio, invasioni di insetti o serpenti, con l’ausilio di particolari “incantesimi”. La testimonianza più affascinante di questa “credenza” resta il nome di “Castel dell’Ovo” alla turrita struttura dell’isolotto di S. Salvatore, la greca Megaride, unita in seguito alla costa (artificialmente) dal Borgo Marinaro.
In effetti l’origine del nome resta alquanto misteriosa se non si analizza bene il “nome” stesso. Per prima cosa gli studiosi di alchimia sanno che il termine “uovo” o meglio “uovo filosofico” è il nome “esoterico” dell'”athanor”, il piccolo forno chiuso, il matraccio di metallo o di un particolare vetro nel quale avveniva la lenta trasmutazione degli elementi primari – zolfo e mercurio – in metallo “prezioso”, l'”oro alchemico”. Operazione “iniziatica” che definiva, in effetti, una profonda mutazione dello spirito e dell’intelligenza dell’operatore. A napoli, nel periodo medievale, fiorisce una grande scuola ermetica che si occupa di alchimia. I processi di “liquefazione”, “soluzione” e “calcinazione” sono favoriti da una particolare terra vulcanica offerta dal Vesuvio mentre la distillazione dell’acqua marina era ritenuto l’unico surrogato alla rugiada raccolta nella notte – l’acqua degli alchimisti – che doveva possedere un grado altissimo di “purezza cosmica”. Megaride divenne presto, già nella età classica, rifugio di eremiti che occuparono le piccole grotte naturali ed i ruderi delle costruzioni romane della grande “domus” luculliana che dalle pendici di Pizzo Falcone giungeva all’isolotto di Megaride. I monaci Basiliani riutilizzeranno poi le possenti colonne romane per ornare la sala del loro “cenobio”, come ancora si può notare visitando Castel dell’Ovo. E’ noto che molte ricerche alchemiche avvenivano – celate ai più – proprio nel segreto di alcuni monasteri medievali ed è confermata la presenza sull’isolotto di monaci alchimisti. In un antico documento, si legge di un antico amanuense che aveva speso tutta la sua esistenza “…nello studio e nella trascrizione di Virgilio…”.
E le continue appassionate ricerche operate da sudiosi hanno testimonato più volte la profonda “cultura virgiliana” della classe colta e religiosa napoletana tra il Medioevo angioino ed il Rinascimento aragonese. Infatti si è già accenntato a quell’amore particolare dei napoletani per il poeta mantovano. Quindi: monaco-alchimista “traduttore” di Virgilio e sperimentatore di “uovo filosofico”. E’ facile ricostruire la “contaminazione” tra i termini ad opera del popolino incolto ma attento e, da sempre, affascinato da quelle “leggende metropolitane” che ogni antica civiltà finisce per ritenere verità storica. Il mistero comincia a “rivelarsi” proprio in antichi testi alchemici che sono gelosamente custoditi da studiosi napoletani dove si legge di “…soluzione de vergilio…” o più avanti “…lo spireto de frutta de vergilio…” citato anche come “…l’acqua de lo Mago Vergilio..:”.
Nulla toglie naturalmente che un oscuro alchimista si chiamasse Virgilio e che avesse distillato uno “spirito” di frutta. Analizzare le forze nascoste della natura, l’antica conoscenza “esoterica” delle potenzialità delle piante è la base alchemica della moderna farmacopea. E non avrebbe potuto, l’incantato poeta, aver raccolto il “segreto” di alcune distillazioni da qualche pastore-stregone e poi affascinato ricercare in proprio nel grande “libro ermetico” della natura?
Virgilio, narrano molte “cronache” medievali napoletane, entrò nel castello di Megaride e vi pose un uovo chiuso in una gabbietta che fece murare in una nicchia delle fondamenta, avvisando che alla rottura dell’uovo tutta la città sarebbe andata distrutta. Altre versioni parlano di un uovo sigillato in una “caraffa” di cristallo sempre murata in un luogo segreto del castello con la stessa raccomandazione. Così nasce il nome di “Castel dell’Ovo” che l’isolotto ha sempre conservato, e lo si evince sia dagli scritti antichi che da una radicata tradizione orale. L’ipotesi che ne deriva è questa: Virgilio apprende il metodo di “distillazione” da un seguace dei “misteri orfici” ancora operante nella campagna napoletana e si procura un recipiante adatto per distillare ed operare nel segreto di “laboratori” ospitati in ville patrizie di nobili che, ottemperando al volere di Mecenate e Ottaviano, renderanno al Mantovano del tutto sereno il soggiorno napoletano. Virgilio opera con “aiutanti” ed allievi che diffonderanno poi queste “conoscenze” facendo trapelare qualche notizia anche nel mondo “profano”. E così gli alchimisti medievali scriveranno dell'”acqua de lo mago Vergilio” e questa notizia a sua volta trapela. Ancora un’ipotesi: il poeta, per esigenze di segretezza maggiore, opera in un antro sull’isola di Megaride ed i pescatori notano (e tramandano) i traffici ed i “fumi” di quelle distillazioni. Virgilio, che ha studiato proprio a Napoli alla scuola dell’epicureo Sirone ed ha nel cuore Esiodo e Lucrezio, si addentra sempre di più nella conoscenza “segreta” della natura iniziandosi ai culti di Cerere e Proserpina allora vivissimi a Neapolis. Ma allora Virgilio è veramente un “mago” pre-alchimista? Perchè Dante Alighieri, il più “iniziato” dei nostri poeti, affiliato per sua stessa ammissone alla “setta” dei “Fedeli d’Amore” a Firenze, iscritto alla “Corporazione de’ medici e speziali” (leggi: alchimisti) che ha lasciato il più eccelso ed inquietante libro “esoterico” nella immortale “Comedia”, ha voluto come “guida” proprio Virgilio?
Non ha forse proprio il grande mantovano nella IV Egloga lasciato un testo impregnato di “potere messianico” nel quale si profetizza addirittura la nascita del Cristo grande iniziato?
Quali “poteri” aveva effettivamente acquistato Publio Virgilio Marone? E quanto di tutto questo i napoletani “sapevano” tramandandolo – come ogni disciplina esoterica impone – sotto il “velo” della leggenda? E se a liberare Napoli da pestilenze, serpenti ed insetti nocivi non si fosse trattato di incantesimo ma solo di acconci e “segreti” preparati naturali?
Di certo Napoli l’amò moltissimo, e lo ritenne prima di S. Gennaro protettore a tutto tondo. Tant’è che – morto a Brindisi nel 19 a.C. – onora da sempre la sua tomba “napoletana”. Dopo alcuni anni, da Virgilio passerà lentamente al vescovo martirizzato di Benevento, Ianuario, il gravoso compito di liberare la città dalle calamità naturali ed umane, ma anche per S. Gennaro, e suo malgrado, l’alchimia donerà ai napoletani non più la leggenda di un fenomeno ma un fenomeno da leggenda legato alla “scuola alchemica napoletana”.